domenica 9 agosto 2009

Il rifiuto come risorsa

Il compostaggio della frazione organica dei rifiuti: una strategia sostenibile per alleggerire le discariche e restituire fertilità ai terreni


In sostanza, si tratta di imitare la Natura, riproducendo il classico fenomeno della degradazione della sostanza organica e della sua trasformazione in humus. Con il duplice risultato che, grazie al compost così prodotto, affronteremo in maniera sostenibile il problema rifiuti restituendo, nel contempo, fertilità alle nostre campagne.


La frazione organica costituisce circa il 30-35% dei nostri rifiuti. Vi rientrano i nostri avanzi di cucina, gli scarti di giardino o dell’orto, e tutti quegli altri materiali (carta non patinata, cartone, segatura e trucioli …) che sono biodegradabili, cioè aggredibili dai batteri.
Tramite il compostaggio, i rifiuti organici diventano sostanza nutriente. Il processo riproduce sostanzialmente il ciclo della Natura: i batteri, naturalmente presenti nel terreno e negli scarti, degradano le molecole organiche complesse in composti chimici più semplici, come sali minerali, acqua o anidride carbonica. Il processo avviene in condizioni aerobiche, cioè in presenza di ossigeno (senza l’ossigeno agirebbero altri microrganismi, provocando fermentazioni e putrefazioni) e produce calore, il che consente di purificare la sostanza dai microrganismi dannosi di animali e piante. La parte residua, stabilizzata e non più fermentescibile, costituisce il compost, ricco di elementi nutritivi (tra cui azoto, potassio, fosforo) che vengono lentamente rilasciati.


I VANTAGGI
Con il compost, si chiude quindi il cerchio, restituendo alla terra risorse preziose altrimenti disperse. E si affronta il problema rifiuti nella corretta logica di riduzione e recupero della materia.
Com’è noto, con il D.Lgs. 22/97, il cosiddetto Decreto Ronchi, siamo passati dalla logica dello smaltimento dei rifiuti a quella della loro gestione. Di fronte alla continua crescita della produzione di rifiuti, consapevoli dello spreco di materie prime nonché dei costi economici ed ambientali prodotti dai rifiuti finiti in discarica, l’obiettivo prioritario è quello di ridurre la quantità stessa dei rifiuti. Tra le misure di riduzione, rientra anche il recupero della materia prima, tramite il riciclaggio.
Nel caso della frazione organica, il recupero della materia è quindi un obiettivo essenziale. In primo luogo per via del suo “peso” sul totale dei rifiuti prodotti. Come detto, circa il 30-35% dei rifiuti urbani è di natura organica. In numeri, sono circa 10 milioni di tonnellate sugli oltre 30 milioni prodotti nel 2003 in Italia. Intercettare tale frazione, significa quindi ridurre consistentemente la quantità di rifiuti da destinare in discarica. Non a caso, soltanto laddove è decollata la raccolta della frazione umida è stato raggiunto l’obiettivo previsto dal Decreto Ronchi per il 2003 del 35% di raccolta differenziata intesa al riciclaggio; percentuale per altro agevolmente superata, con medie del 50% e punte del 70-80%, laddove si è optato per la raccolta domiciliare. Da sottolineare è che, laddove è partita la raccolta dell’organico, sono state ottenute alte percentuali di raccolta differenziata anche al Sud Italia (vedi tab. 1), a dimostrazione che l’Italia a più velocità sul tema rifiuti (un Nord in linea con gli obiettivi Ronchi e un Sud in grande ritardo) non costituisce affatto un esito scontato.
Allo scopo, il legislatore europeo (Dir. 99/31) e quello nazionale (L. 36/2003) hanno previsto un calendario di riduzione del conferimento di rifiuti biodegradabili in discarica (vedi riquadro).
Il recupero della frazione organica alleggerisce le discariche non solo in termini quantitativi ma anche sul piano della pericolosità e stabilità, in quanto riduce il rischio di inquinamento delle falde acquifere legato al percolato prodotto dalla parte fermentescibile.
E a beneficiarne, oltre al nostro sottosuolo, è anche l’atmosfera: il processo di degrado dei rifiuti organici produce infatti biogas, e una parte del metano prodotto può sfuggire ai sistemi di drenaggio e cattura di cui dispongono le moderne discariche e finire in atmosfera, dove contribuisce al noto effetto-serra.


Ma note positive vengono anche sul versante del successivo utilizzo del compost. Il suo impiego in agricoltura, infatti, consente di chiudere il cerchio, e di restituire fertilità ai terreni, impoveriti da decenni di sfruttamento intensivo e dal massiccio ricorso a fertilizzanti chimici.
L’impoverimento dei terreni è giunto a livelli da allarme e si combina con il fenomeno della desertificazione. Un suolo viene considerato in via di desertificazione quando la presenza di sostanza organica è inferiore al 2%, mentre laddove essa è all’1% o meno, si parla già di terreno desertificato. Il fenomeno riguarda non solo Africa, Asia o Sud America, aree climaticamente a rischio, ma anche l’Europa Mediterranea, con la Spagna, la Grecia e l’Italia. Particolarmente a rischio, proprio a causa dell’eccessivo sfruttamento, è la pianura padana: nel territorio compreso tra Piacenza e Ravenna, il 48% dei terreni ha una presenza bassa (< 2%) di sostanza organica, ed il 22% è al di sotto del livello di desertificazione dell’1% (cfr. figura 1). Con l’impiego del compost in agricoltura, invece, si restituiscono elementi minerali ai suoli e si migliorano la ritenzione idrica e le attività biologiche, e si combatte così la desertificazione. A questo scopo, alcune Regioni (es., Piemonte, Emilia Romagna), nell’ambito dei Piani di Sviluppo rurale (regolamentazione comunitaria sull’agricoltura sostenibile) hanno già disposto misure volte a finanziare l’uso del compost nei terreni impoveriti. Un altro importante contributo fornito dal compost riguarda l’assorbimento di carbonio e la riduzione, quindi, dei gas serra, responsabili del riscaldamento del pianeta. Oltre all’aspetto già indicato sopra della riduzione delle emissioni di metano prodotte in discarica, infatti, è l’utilizzo stesso del compost nei campi che fornisce un prezioso apporto, in quanto fissa ai suoli il carbonio evitando che venga disperso in atmosfera in forma di CO2. Uno studio dell’Istituto Sperimentale per la Nutrizione delle Piante ha rivelato che uno 0,14% di sostanza organica in più nel suolo (laddove i tenori medi in terreni a buona fertilità dovrebbero essere del 2,5-3%) equivale a fissare una quantità di CO2 pari alle emissioni complessive dell’Italia in un anno! Per finire, il compost riduce anche l’utilizzo di pesticidi, grazie al potere repressivo verso i patogeni che naturalmente possiede. A conferma che può essere validamente utilizzato per un’agricoltura di qualità, anche biologica.

IL COMPOSTAGGIO IN ITALIA
Sebbene la discarica continui a costituire la principale destinazione dei rifiuti urbani italiani, si riduce progressivamente la sua incidenza (nel 2003 vi è finito il 51,7% degli RU, contro il 74,3% del 1999) a favore di altre forme di smaltimento. Tra queste è in crescita il recupero della materia, sia derivante dal compostaggio di matrici selezionate, sia derivante dal trattamento meccanico biologico (per un’incidenza, nel 2003, rispettivamente del 7,6% e del 20,7%, cfr. figura 2).
Limitandoci al compostaggio da matrici selezionate, ottenuto cioè dalla raccolta differenziata a monte (che è poi quella che assicura il prodotto di qualità), sono cresciuti negli ultimi anni sia le quantità di rifiuto trattate sia gli impianti di compostaggio. Quest’ultimi, nell’arco del quinquennio 1999-2003, sono più che raddoppiati (cfr. figura 3), passando da 114 a 258, e ancor maggiore è stato l’aumento della potenzialità complessiva degli impianti, passati da 2 milioni di tonnellate del 1999 ai 5,4 ml/t del 2003. Raddoppiate, nel quinquennio, anche le quantità di rifiuti trattati, anche se si registra un lieve calo nel 2003 rispetto all’anno precedente. Da rilevare, ancora, una non omogenea distribuzione degli impianti, per lo più dislocati nelle regioni del Nord (176, pari al 68,2%) e meno in quelle centrali (45 impianti, cioè il 17,4%) e del Sud (37 impianti, cioè il 14,3%), anche se la forbice si riduce (nel 1999 al Nord era localizzato l’88% degli impianti, e al Sud appena il 3,6%).
L’elevata potenzialità degli impianti rispetto alla quantità di rifiuti trattati (circa il doppio), dimostra la possibilità di far fronte ad un ulteriore sviluppo della raccolta differenziata della frazione umida e verde.


Al fine di raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata dell’organico e di produzione e successivo utilizzo di un buon compost, due appaiono le strategie vincenti.
In primo luogo, puntare sulla raccolta “porta a porta” domiciliare, anziché sul sistema cassonetti stradali. Il primo sistema, più capillare, consente infatti di intercettare la maggior quantità di rifiuti da cucina, con conseguente riduzione della fermentescibilità del residuo rifiuto da smaltire, di cui si alleggerisce l’impatto sulla discarica e si riduce la frequenza di raccolta. Tale ultimo vantaggio, tra l’altro, va a compensare i costi del domiciliare, che alla fine, risulta anche economicamente competitivo con il sistema cassonetti (vedi tab. 2).
L’altro sistema che appare opportuno adottare è quello del piccolo compostaggio domestico, cioè la trasformazione dei propri rifiuti organici in compost direttamente nel proprio giardino. Tale sistema intanto riduce la quantità di rifiuti da raccogliere e smaltire (non pochi, se si tiene conto che 1 mq di giardino produce, tra sfalci, foglie e potature, tra i 5 e i 10 kg/annui di scarto, per cui un giardino di 100 mq produce 1 tonnellata di rifiuti!), con un risparmio, economico ed ambientale, anche sulle operazioni di raccolta e trasporto; esso, poi, va incontro alle esigenze delle famiglie, che non saranno costrette ad acquistare terricci o concimi chimici, e che avranno la soddisfazione (di non poco conto, per chi ama curare il proprio giardino) di produrre da sé l’ammendante per le proprie piante. Senza dimenticare l’incentivo economico del risparmio sulla tariffa rifiuti per chi fa’ compostaggio domestico in virtù del minor volume/peso di rifiuto conferito (laddove l’imposizione avviene ancora con la tassa, l’Amministrazione può comunque riconoscere uno sconto).
Il sistema del compostaggio domestico può essere inoltre validamente applicato nelle zone rurali o ad alta dispersione abitativa, laddove non sia possibile o economicamente conveniente organizzare la raccolta domiciliare, nonché laddove gli amministratori, colpevolmente, non abbiano ancora fatto partire la raccolta differenziata.


GLI IMPIEGHI
La produzione attuale di compost in Italia è valutata in circa 900.000 tonnellate annue, che trovano sbocchi sia nel florovivaismo (essenzialmente attraverso l’industria dei fertilizzanti, che miscela il compost con torbe, mentre minoritaria è la vendita diretta al dettaglio all’hobbista o al giardiniere), sia nell’agricoltura, con vendita diretta alle aziende agricole, che l’utilizzano come ammendante per ripristinare la fertilità dei campi; la vendita alle aziende, in particolare, è divenuta l’impiego prevalente, con un’incidenza nel 2002 del 52% contro il 33% del 2000.
Essenziale, ai fini del suo sviluppo, è il discorso qualità: oggi, grazie alla raccolta differenziata (che assicura il rifiuto organico al netto di sostanze estranee e pericolose), il compost presenta caratteri di purezza in linea con la normativa sui fertilizzanti (legge 748/84) e può essere impiegato anche nell’agricoltura biologica. Dal 1994, inoltre, può anche richiedere l’Ecolabel, il marchio ecologico europeo, mentre dal 2003, sull’esempio di altri paesi europei (Germania, Austria, Danimarca, Belgio, Olanda) esiste anche in Italia un sistema di certificazione volontaria promosso dal CIC, il Consorzio Italiano Compostatori, che assegna un marchio di qualità, il “Compost Qualità CIC”: nel 2004 sono state 250.000 le tonnellate di ammendate certificato prodotte in Italia dalle 9 aziende (ad oggi divenute 12) che hanno ottenuto la certificazione di qualità.
Prospettive interessanti si aprono anche sul versante della Pubblica Amministrazione. Com’è noto, attraverso il cosiddetto GPP, il Green Public Procurement, la Pubblica Amministrazione effettua i suoi acquisti non solo sulla base del prezzo, ma anche con un occhio rivolto all’ambiente, minimizzando l’impatto delle sue scelte e orientando il mercato in senso sostenibile. La normativa prevede una quota minima del 30% di “acquisti verdi”. Tra gli acquisti verdi che la PA può fare, rientrano anche quei materiali derivanti dal riciclo dei rifiuti; gli enti pubblici, così, possono prevedere nei propri capitolati di appalto per l’acquisto di terricci o per la manutenzione del verde pubblico affidata a ditte private il ricorso al compost.
Ma le potenzialità del settore sono più ampie. La frazione organica, si è detto, incide per il 30-35% sul totale dei rifiuti urbani. Su 30 milioni di tonnellate annue di rifiuti prodotti in Italia, circa 10 sono quindi organici. Ipotizzando un’intercettazione con la raccolta differenziata del 70-80%, si potrebbero raccogliere 7-8 milioni di tonnellate di rifiuti, da cui ricavare, calcolando una resa del 40%, circa 3 milioni di tonnellate annue di compost, più del triplo della produzione attuale.
Tale quantità potrebbe fertilizzare in maniera sostenibile 300.000 ettari, appena 1/50 degli oltre 15.000.000 di ettari di superficie agraria in Italia, senza alcun rischio, quindi, di saturazione del mercato.

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